Vi racconto una breve storia...
Hai presente quando il respiro si blocca, la testa inizia a girare, hai i conati di vomito e ti raggomitoli su te stessa come per difenderti da qualcosa? Pensereste a qualcuno che ha ricevuto un pugno nello stomaco, e invece no, è la malattia più grave che l'essere umano possa contrarre: il mal d'amore. Non si sa quando verrai contagiato, non si sa come curarla, non si sa quanto durerà ... un po' come la "susta" per i baresi.
Era meglio ricevere un pugno.
Oriana Fallaci, nel libro Un Uomo, scriveva: "Incredibile come il dolore dell'anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche. Eppure il dolore dell'anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare."
E' come se non capissi più chi sei, come se avessi la morte nel cuore, perché il vuoto lasciato è incolmabile come quello di un lutto. Muoiono due persone: tu e il ragazzo che pensavi di conoscere, che pensavi fosse sincero e che pensavi sarebbe tornato. Chi rimane sono due persone che non conosci: l'embrione di te e uno (uno qualunque non più il ragazzo che amavi) che pensa alla ex, all'amica che sta male per lui, a conoscere nuove persone tra cui quella che mi sostituirà , pensa a creare nuovi casini ma non pensa a te (a me), non pensa a risolvere con te (con me). Due estranei. La pausa: il primo colpo. Parole, rabbia, impotenza...ingiustizia. "Tornerò a riprenderti" una frase fessa di un film scadente di serie B che se non fosse stato LUI a pronunciarla avresti riso per giorni. Ma ci credi, vuoi essere fessa, per il tuo bene, per il bene di entrambi (che a quanto pare il bene di entrambi interessa solo a te) ti ripeti anche tu frasi fesse del tipo "Magari non mentiva, magari ci crede, magari sarò fortunata ...io RESTO." Resti. Immobile. Per giorni. Mesi. LUI ora ti chiama, uscite di nuovo, speri di nuovo, ma poi si allontana di nuovo e nuovi nomi femminili si presentano nuove "amiche", scrive la giustificazione come si faceva alle scuole medie "sto male" e il suo ego era sempre al centro di noi, il noi non esisteva più, non c'era mai stato un noi, c'era il "per ora mi fai comodo" (l'ho capito molto più tardi). Tu nel frattempo vorresti urlare, scappare, ucciderlo per l'ingiustizia alla quale ti ha sottoposta, a quella prova che non volevi affrontare perché in fondo sapevi di non essere sicura del risultato, ma non dici niente perché si ama negli sbagli e non perché lo dice un sacramento, ma l'essere umano è imperfetto e la vita è lunga ed è impossibile non cadere mai e non sbagliare mai. Quindi Resisti. Ti aggrappi agli amici, alle amiche a chiunque ti dia una parola di conforto; ti aggrappi alle coppie che hanno vissuto la tua stessa esperienza e che ora sono più forti di prima e più uniti di prima, sei in cerca di una dolcezza che lui ormai si è scordato di darti... inizi a sentirti invisibile e lentamente ti spegni. Resisti ancora (a fatica), hai le palle di amare, ancora.
Non appena risolvo le questioni con me stesso, io, le promesse che ti ho fatto, le mantengo tutte.
Ti aggrappi a queste parole ed esanime ti trascini nei giorni successivi ma ormai capisci di andare contro te stessa, contro l'idea di amore che porti nel cuore, contro quello in cui credi. L'attesa è finita e finisce che LUI ad una cena a casa di un'amica (che non sa che il suo caro amico ha lasciato una ragazza che lo aspetto su sua richiesta), incontra una nuova lei e qualcosa succede, qualcosa che ha a che fare con sudore e sospiri. Tu intanto aspetti all'oscuro di tutto e arriva il tuo compleanno e ... nessuna chiamata da lui (che non è più LUI). Tutto l'odio, tutta la rabbia somatizzata in quei mesi, le ingiustizie, l'affetto negato, il suo egoismo prendono corpo in sei parole scritte, ma avrei voluto urlarle: " TU PER ME NON ESISTI PIU' ". Sono solo parole, emozioni negative che basterebbe un abbraccio a far scomparire, ma per lui sono il pretesto che aspettava per dare la colpa a te della fine della storia e buttarsi platealmente (perché privatamente già lo faceva) tra le braccia di un'altra senza neanche dirtelo a tempo debito, cioè un mese prima. ...Io invece aspettavo...
Codardo.
Non mi fido più di un sorriso, né di un abbraccio, di un complimento, di un bacio, di una parola, dell'amore stesso, nemmeno di me. Avevo lottato con fatica per rimanere in piedi, per affrontare quel periodo dove passavo le notti a preoccuparmi per lui, di quel suo blackout, di come aiutarlo a risolvere questa situazione, di quel cambiamento di personalità che mi gelò il sangue. Rimasi in silenzio dandogli tutto lo spazio che chiedeva, diventando invisibile, quando invece avrei voluto urlare "GUARDAMI sono qui per te, andiamo avanti insieme!". Per aiutarlo ho fatto quello che mi chiedeva: mi sono fatta da parte, ero rimasta in sospeso ma c'ero. Mi sono negata i baci, le carezze, la semplice compagnia di lui, tutto purché quel periodo finisse; è stato molto duro adeguarmi a questo ed invano. Mi sono fidata, ero sicura che quel sacrificio, che quello sforzo avrebbe fatto sbocciare un amore più forte di qualsiasi tempesta; ero convinta con ogni molecola di me stessa che solo così si potesse forgiare un amore che non si sarebbe mai piegato. Mi sbagliavo. Può anche darsi che per molte coppie sia stato così ma in questa storia si sentiva puzza di sfortuna fin dai primi giorni e anche se usi la colonia più profumata del mondo, quel tanfo ce l'hai ormai addosso. Qualsiasi mia opinione sulla vita, sulle persone, sulla fiducia, sulle promesse, sull'amore era diventata cenere; io ero diventata una terra arida. Ho perso. Ho perso anche me stessa.
Buio.
La sofferenza è matematica: è proporzionale all'amore provato, donato, sperato.
Si dice che ciò che fa male al cuore faccia bene alla propria arte; sarà per questo, forse, che da tre anni a questa parte ho iniziato a scrivere impulsivamente. Quasi sempre inondata da emozioni che rasentano Jack Nicholson in Shining e Dolores O'Riordan nel video Just my Imagination, due poli opposti che si danno appuntamento sempre alla stessa ora nella mia testa. E così, tra una parola scritta, pensata, ingoiata e strappata, comprendi che lui non ti ha mai considerato la sua LEI, che non si è mai lontanamente affezionato, innamorato e amato per quello che sei, che ti ha dimenticato. Stop. Ti rimbombano le sue parole ingiuste "Tu non mi davi abbastanza, tu non mi rendevi felice, tu, tu ,tu ,tu" la colpa è sempre degli altri, mai di noi stessi, soprattutto quando si tratta della felicità personale e così ingoi rospi, su rospi e quando finiscono i rospi ingoi pure una zoccola del lungomare di Bari (il ratto, non la lucciola). Hai bisogno di resettare, di elaborare il lutto. Dov'è finito il ragazzo che la mattina mi inviava il buongiorno? Dove sono finite le risate, le birre, il cibo d'asporto, io che ti imboccavo? Dove sono finite le promesse? (Roberto Giacobbo potrebbe prendere spunto per mettere su una nuova puntata di Voyager).
Luce.
Il tempo passa, e pian piano tu ti rigeneri, incontri nuovi sorrisi per strada che senza conoscerti sono pronti ad aiutarti. Prendi nuove strade e tu non ti senti più estranea a te stessa. Smuovi l'acqua torbida della tua vita e inizi un percorso di pulizia per togliere tutta la melma che era sul fondo fino a quando di te non rimane che sorgente fresca e pulita. Divori libri, riprendi ad ascoltare buona musica anche i gruppi che vi piacevano in comune perché finalmente non hai più il terrore di incontrarlo su quelle stesse note. Ti piaci così come sei, nonostante le mille paure e altrettante nevrosi. Riprendi a giocare con la vita, incominciando da un libro di Chiara Gamberale che s'intitola Per dieci minuti... dieci minuti da impiegare ogni giorno con qualcosa di nuovo. Dieci minuti per creare una nuova strada... Ma questa è un'altra storia che presto vi racconterò...
Alla fine che te ne fai di uno stronzo come me.
Avevi ragione.